Vivian Maier | La bambinaia fotografa
Un po’ per natura, un po’ per deformazione professionale, ogni volta che vado a vedere una mostra cerco di scovarne il lato “bambinesco”, quello che maggiormente possa catturare l’attenzione dei giovani visitatori. A volte è un quadro, altre la storia dell’artista, altre ancora l’unione delle due.
Lo confesso, non sono propriamente una talent scout, anzi, a volte saluto come la scoperta del secolo un artista, un fotografo e una mostra che sono già state viste e recensite centinaia di volte. Se poco più di un anno fa, sfruttando l’invito che gentilmente mi ha rigirato la Zia Giovy, sono andata a vedere la mostra dedicata a Vivian Maier allo Spazio Forma di Milano, è stato perché la signora in questione faceva la… bambinaia. Banale, forse, ma i collegamenti creati dal mio cervello sulla realtà infantile e lo stimolo ad andare sempre a vedere, verificare e approfondire sono assolutamente irrefrenabili.
E così, davvero per puro caso, mi sono trovata a scoprire e ad amare (un vero e proprio colpo di fulmine!), le fotografie che questa donna eccezionale, tata di professione e fotografa per passione, per più di mezzo secolo ha dedicato al mondo che la circondava.
La storia della sua scoperta è a dir poco straordinaria. Nel 2007 un ragazzo di Chicago, John Maloof, che sta scrivendo un libro sulla sua città, compra a un’asta una scatola piena di negativi fotografici. Non sa di cosa si tratti, ma spera di trovare delle immagini interessanti per il suo libro. Appassionato di brocante e abituale frequentatore delle vendita all’incanto, Maloof “scommette” sul suo sesto senso. Quando comincia a scannerizzare i negativi si trova davanti a un “universo”, popolato da uomini, donne, bambini, scene di vita di ogni giorno, scorci di strade, spaccati di realtà, che gli aprono le porte di anni e anni di vita americana. La sorpresa è totale! Come caduto in un incanto, fa di tutto per recuperare anche le altre scatole di negativi e rullini che erano stati venduti alla stessa asta e comincia a dedicarsi, anima e corpo, a ricostruire la storia di quelle immagini e, soprattutto, ad identificarne l’autore, l’occhio che sta dietro ad esse.
È così che scopre che l’artefice di tanta bellezza è una certa Vivian Maier, una signora dall’aria discreta, quasi anonima, che per tutta la sua vita ha fatta la tata. Nessuna delle persone che l’hanno conosciuta, men che meno i bambini di cui negli anni si è occupata e i loro genitori, hanno mai sospettato che, nel tempo libero, si potesse dedicare a ritrarre e cogliere così nel profondo il mondo che la circondava.
Tutto il suo tesoro è rimasto chiuso nelle scatole che gelosamente si portava dietro ed ha visto la luce solo dopo la sua morte, grazie al caso, alla curiosità e alla passione che, dal giorno di quella fortunata asta, ha accompagnato Maloof. L’interesse nei confronti della Maier non ha mai cessato di crescere e, in ogni parte del mondo, si susseguono le mostre a lei dedicate.
Dopo il mio primo “incontro” con lei, ho cominciato a collezionare tutto quanto fosse stato pubblicato. Non ancora molto, a dir la verità, ma sufficiente a far nascere anche nei Fantastici Quattro la curiosità di andare a vedere la mostra delle sue foto, aperta al pubblico fino al 29 gennaio, all’Arengario di Monza. Il percorso è come una passeggiata nelle strade dell’America che fu, alla ricerca di dettagli, espressioni e piccole curiosità di persone sconosciute, colte in attimi di grande intensità. I bambini e il loro mondo di gioco e incanto hanno catturato Numero Tre e Numero Quattro, colpiti dal riconoscere giochi comuni e ambienti nuovi. Numero Due, il cui naturale prolungamento della mano, se le fosse concesso, sarebbe il suo smartphone, ha apprezzato quei “selfie” ante-litteram (“autoritratti, figlia mia, autoritratti!”) che la Maier si faceva, servendosi di specchi, vetrine e ombre. E Numero Uno, completamente calata nella sua nuova realtà di studentessa di Liceo Artistico, ha letteralmente adorato ogni fotografia, ha elaborato le linee guida di una presentazione da fare in classe e si è riproposta di realizzare almeno una decina di scatti identici.
E io? Beh, io, anche questa volta, mi sono fatta avvolgere dalla capacità che ogni foto ha di raccontarmi una storia, dalla magia con cui una donna di poche parole (così la definiscono quelli che l’hanno conosciuta) è riuscita a dare voce alle sue immagini e al suo mondo e, a distanza di anni, toccare il mio cuore.
PS. Lo confesso: tornata a casa ho tirato fuori la mia piccola Leica e mi sono riproposta di farla diventare la mia nuova “collaboratrice”.
Lidia January 18, 2017 Al museo con i bambini, Artkids News, Blog, Mamma & kids, Mostre & Eventi